Cibo e salute: il nutrizionista risponde | Il riso
È un cereale molto utilizzato e dalle notevoli proprietà. Ma quanto conoscete il riso? Torna "Cibo e salute: il nutrizionista risponde", rubrica dedicata ad alimentazione, alimenti e buone pratiche, curata dal dott. Gianluca Rizzo, che questo mese ci parla del riso, delle sue caratteristiche e varietà.
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Buona lettura!
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In Giappone, paese in cui il riso è la componente principale dell’alimentazione, esiste addirittura un magazine, “RiCE”, interamente dedicato a questo cereale. Alimento che per secoli ha sfamato i contadini dell’Estremo Oriente, il riso è la pianta più coltivata al mondo. Perfino in Italia esiste un’importante tradizione di coltivazione di questo cereale.
I suoi semi contengono un deposito amilaceo ricco di carboidrati complessi e dalle proprietà estremamente nutrienti. I tessuti esterni della cariosside, il seme del cereale, rappresentano lo strato di crusca, ricco di sali minerali e vitamine del gruppo B. Purtroppo, come spesso accade durante la lavorazione dei cereali, al fine di prolungarne la conservazione, si tende a ridurre drasticamente la quantità di questi nutrienti attraverso la rimozione della crusca. Per ovviare a un simile inconveniente è consigliabile utilizzarlo integrale, tuttavia, come vedremo più avanti, esistono delle vie di mezzo tutto sommato accettabili.
Il riso, come abbiamo già accennato, rappresenta la base dell’alimentazione orientale, presente come ingrediente nelle più disparate preparazioni o sotto forma di derivati. In Giappone si utilizza una particolare tipologia glutinosa che, grazie alla sua collosità, gli permette di essere facilmente compattato per dare vita a polpette (onigiri) o ai famosi involtini (maki).
È giusto chiarire che quando parliamo di glutinoso ci riferiamo alla consistenza e non al reale contenuto in glutine. Infatti, il riso non contiene questa molecola ed è ottimo nei casi di celiachia o altri disturbi gastrointestinali. Per i contadini cinesi del XIX secolo, il suo consumo come fonte alimentare esclusiva è stato motivo di insorgenza del Beriberi, una malattia causata da carenza di tiamina (vitamina B1), la cui perdita dipende dalla rimozione degli strati esterni del chicco per ottenere il riso brillato. Questa patologia, caratterizzata soprattutto da disturbi neurologici, è davvero rara in Occidente dove si manifesta solitamente in caso di alcolismo (che riduce la biodisponibilità vitaminica) o secondaria ad altre disfunzioni metaboliche o da malassorbimento. Non è comunque da sottovalutare l’incidenza attuale del Beriberi nelle zone povere dell’Asia orientale, laddove è ancora radicato il consumo di riso brillato come unica fonte di nutrimento.
Il riso ha anche un’ampia tradizione di coltivazione italiana e, attualmente, rientra a pieno titolo nell’Alimentazione Mediterranea. Abbiamo, infatti, svariate qualità locali come Carnaroli, Roma, Originario, Arborio, Vialone, Ribe e molti altri ancora, che vantano 5 secoli di selezione e il primato europeo per la coltura. Ogni tipologia si presta a un uso specifico. Non si contano le ricette che lo prevedono come ingrediente di diverse pietanze regionali: risotti, zuppe, timballi, supplì, arancini, etc. La scelta può dipendere dalla forma, dalla cottura differenziale tra interno ed esterno, dal metodo ideale di preparazione, dalla capacità di mantecare per realizzare risotti o timballi e, non meno importante, dall’aroma. Non manca, comunque, un consumo di tipologie meno lavorate e dal gusto più esotico come il Basmati, Venere, Thaibonet e il Selvatico o Selvaggio. Quest’ultima variante, in realtà, non appartiene alla specie Oryza sativa di cui fanno parte le altre varietà. Si tratta del seme della Zizania canadese, una graminacea molto vicina al riso, da non confondere con la Zizzania (conosciuta anche per i relativi proverbi), appartenente alla stessa famiglia botanica ma infestante per le colture e potenzialmente tossica per l’uomo. Il sapore del Selvatico è tutt’altro che neutro: presenta un retrogusto articolato che ricorda la castagna.
Il riso rosso fermentato, invece, è il prodotto di fermentazione di questo cereale con il lievito Monascus purpureus e il successivo sviluppo di monacolina K. Quest’ultima è in grado di ridurre i livelli di colesterolo nel sangue, proprietà che ne ha stabilizzato l’uso come integratore alimentare nei casi di ipercolesterolemia subclinica. Non si tratta quindi di una qualità di riso per usi alimentari e va prestata molta attenzione proprio per i possibili effetti collaterali del tutto sovrapponibili a quelli delle statine.
In base alla qualità scelta, il riso può necessitare di svariati minuti di cottura. Per ovviare a questo inconveniente, esistono in commercio le versioni parboiled che sono pronte in poco tempo. Il processo di parboiling, in realtà, non viene eseguito per velocizzare la cottura e agevolare così il consumatore, ma si tratta di una tecnica industriale a cui il riso viene sottoposto quando possiede ancora la crusca esterna. L’utilizzo di temperature e pressioni adeguate permettono di far migrare sali e vitamine dal tegumento esterno verso la parte amilacea interna. In questo modo, anche se il riso viene deprivato della crusca, conserva ancora gran parte delle caratteristiche nutrizionali, a eccezione delle fibre. Ecco perché il parboiled, generalmente di qualità ribe, possiede una colorazione ambrata meno brillante e candida. I tempi di preparazione si riducono notevolmente e così anche la resistenza alla cottura che permette un rilascio limitato di amido e un’influenza ridotta sulla glicemia, rendendolo un alimento ideale per gli sportivi, per chi segue un regime ipocalorico o per chi deve tenere sotto controllo gli zuccheri nel sangue. Di recente, si trovano versioni parboiled che non hanno subìto raffinazione e quindi conservano lo strato di crusca.
Le tipologie Basmati e Thaibonet sono molto profumate e resistenti alla cottura e si adattano bene alla preparazione di insalate o di pietanze etniche. Giusta via di mezzo tra riso integrale e riso lavorato, anche queste qualità influiscono in maniera ridotta sulla glicemia.
Inoltre, il protagonista del nostro approfondimento, è un alimento dal potenziale allergenico davvero basso, motivo per cui i suoi derivati hanno un campo di utilizzo ampio. Può essere consumato in forma di pasta di riso, in sostituzione al grano, quando si manifesta reattività al glutine; come latte vegetale può sostituire quello vaccino in caso di intolleranza al lattosio o se si è deciso di escluderlo dalla propria alimentazione. C’è da precisare, però, che il contenuto di proteine è molto basso e la resa calorica quasi esclusivamente dipendente dai carboidrati; ciò significa che ne va tenuto conto quando si pianifica un regime alimentare. Proprio per l’esigua presenza proteica, in Italia non esistono attualmente formulazioni vegetali per lattanti a base di riso, ma solo di soia
Per quanto concerne i derivati di questo prodotto versatile, si trova in commercio l’olio di riso, ricco di acidi grassi polinsaturi, che può essere consumato da crudo con effetti positivi sul sistema cardiovascolare. L’olio extravergine di oliva è un alimento ottimo, tuttavia possono sopraggiungere esigenze particolari che ne limitano l’utilizzo. È in questi casi che l’olio di riso potrebbe diventare un discreto sostituto.
Utilizzato tradizionalmente in Giappone per condire il sushi, l’aceto di riso è sicuramente più delicato di quello di vino. Il sakè è un distillato giapponese di riso e goji dalla gradazione simile al vino. Non manca all’appello neppure la birra di riso, molto simile a quella di frumento e adatta ai celiaci che non intendono rinunciare alle bollicine dell’antica bevanda alcolica.
Dal punto di vista nutrizionale, il consumo di riso (incluso quello raffinato) è correlato alla riduzione dell’incidenza di alcune patologie neoplastiche; alla riduzione dell’incidenza di diabete, se si sostituisce quello bianco con l’integrale. Invece, non sembra avere alcuna influenza positiva o negativa per il rischio cardiovascolare. L’utilizzo concomitante di alimenti proteici può ridurre sostanzialmente l’impatto glicemico di questo cereale.
Non meno importante, come tutte le monocolture vegetali, la coltivazione del riso è un processo squisitamente umano che piega la natura ai propri scopi nutrizionali e commerciali. Tuttavia, recenti studi indicano che le tradizionali risaie giapponesi coesistevano armonicamente con la flora e la fauna, che attualmente stanno scomparendo come conseguenza dell’abbandono delle campagne e della propensione verso una scelta alimentare sempre più occidentalizzata. Potrebbero esserci dei risvolti positivi legati alla coltivazione del riso, come si ipotizza sia stato per migliaia di anni, che hanno permesso la stabilizzazione del suolo e il raggiungimento di interazioni interspecifiche con altri vegetali e con insetti e piccoli animali. In Asia, i ritrovamenti fossili cambogiani suggeriscono 7.000 anni di consumo da parte dell’uomo.
Di recente, prodotti adulterati provenienti dalla Cina hanno destato l’interesse dell’Autorità per la Sicurezza Alimentare Europea (EFSA); un motivo in più per usufruire delle qualità italiane, altamente garantite da un sistema di controllo alimentare che il mondo ci invidia.
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Gianluca Rizzo è biologo nutrizionista, docente in corsi di formazione ed ECM, e in diversi Master curati dall’Università di Messina, specializzato in alimentazione vegetariana e vegana e in integrazione alimentare. Potete conoscerlo meglio in questa intervista: http://www.biolis.it/mc/629/I-consigli-dei-nutrizionisti---Dott-Gianluca-Rizzo. Su Facebook lo trovate qui: http://www.facebook.com/dott.gianlucarizzo/?fref=ts